Antonio Mura : L’Arte come Memoria del Territorio
Antonio Mura (1925–2020) è stato un pittore sardo il cui lavoro ha saputo coniugare tradizione e modernità. Attraverso un linguaggio pittorico personale e vibrante, ha raccontato la vita, i volti e i paesaggi della Sardegna, diventando una voce artistica autorevole del Novecento isolano.
Antonio Mura nasce a Orani (NU) nel 1925, in un contesto culturale e geografico fortemente legato alla tradizione popolare sarda. Fin da giovane mostra una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, che approfondirà negli anni attraverso un percorso artistico personale, fortemente influenzato dalla cultura visiva della sua terra ma aperto anche alle sperimentazioni del secondo Novecento.
Mura non aderisce mai completamente a un’unica corrente stilistica, ma sviluppa un linguaggio pittorico autonomo, dove la figurazione incontra accenti espressionisti, e i colori – spesso densi e intensi – diventano mezzo emotivo per rappresentare l’identità sarda. I suoi soggetti spaziano dalle scene di vita quotidiana ai ritratti, dai pastori ai paesaggi, fino a composizioni più simboliche e introspettive.
La Sardegna non è solo sfondo, ma protagonista della sua poetica: ogni tela diventa un racconto, una memoria visiva che fissa la dimensione umana e spirituale di un mondo arcaico in trasformazione. L’artista osserva con rispetto la sua terra, ma non si limita alla nostalgia: il suo sguardo è critico, moderno, consapevole.
Nel corso della sua lunga carriera, Mura partecipa a numerose mostre collettive e personali, ottenendo riconoscimenti a livello regionale e nazionale. La sue opere, oggi, sono conservate in collezioni pubbliche e private, ed è considerata fondamentale per comprendere l’evoluzione dell’arte sarda nel Novecento.
Antonio Mura si spegne nel 2020, lasciando un’eredità pittorica intensa e coerente, frutto di una vita interamente dedicata all’arte e alla narrazione visiva di un’identità collettiva
I suoi quadri restano un ponte di colore e luce tra la memoria popolare e l’anima dell'isola. Nei suoi ritratti, nei paesaggi e nelle scene di vita quotidiana, intreccia la concretezza della terra con la spiritualità dei gesti antichi. La pennellata è pacata, mai ostentata, e i toni — caldi, densi, armoniosi — avvolgono figure e ambienti in un abbraccio unico, quasi a dire che l’uomo e il paesaggio non esistono l’uno senza l’altro. Nei suoi dipinti si respira il tempo lento delle stagioni, la sacralità delle usanze, l’eco di canti lontani che si fondono con il vento. C’è un senso di appartenenza collettiva, ma anche una malinconia dolce, come se ogni tela fosse custode di un ricordo condiviso.
Processione di maggio
In Processione di maggio, Mura ci guida in una mattina densa di luce soffusa, quando il paese intero si muove in silenzio dietro i simboli della propria fede. Le figure, femminili e raccolte, avanzano come onde lente, i volti sfiorati da veli leggeri che sembrano catturare l’oro del sole. La scena non urla, ma sussurra: il passo cadenzato, il mormorio delle preghiere, il fruscio degli abiti diventano pennellate sonore. L’aria è impregnata di fiori e cera, e la strada è un fiume di devozione che scorre tra case antiche e sguardi assorti. Mura dissolve i contorni, come se le persone e il paesaggio fossero fatti della stessa cromia, in questo abbraccio di colore l’atto rituale si trasforma in poesia: un momento sospeso, dove il sacro e l’umano si toccano appena, ma per sempre.